Vivere con Intensità: Il significato dell’iperdotazone secondo Dabrowski

Kazimierz Dabrowski è stato uno psichiatra, uno psicologo e un medico polacco, e si dice “Il Padre della ricerca sulla iperdotazione”.  Era un pensatore acuto che vedeva l’esperienza dell’iperdotazione come molto più di una misura dell’intelligenza; è invece un’esperienza e un processo multi-dimensionale, complessa e variabile.

Il termine «multi-dimensionale» si riferisce al fatto che nella concezione di Dabrowski, l’perdotazione è un’intensa esperienza globale piuttosto che una semplice esperienza intellettuale.  La sua teoria delinea cinque aree d’intensità o «sovraeccitazioni» che si trovano in una certa combinazione negli individui iperdotati.  Queste aree di «sovraeccitazioni» sono: intellettuale, emotiva, immaginativa, sensuale e psicomotrice.  Qui si trovano alcune caratteristiche communi:

Intellettuale – ha una profonda curiosità, un interesse profondo per la conoscenza e per l’apprendimento, una passione nel trovare soluzioni ai problemi più difficili; pone delle domande complesse; ricerca la verità, la comprensione, la conoscenza e la scoperta; fa delle osservazioni perspicaci e astute; tende ad avere dei pensieri contemplativi; apprezza l’introspezione, la lettura avida, l’impegno intellettuale prolungato ed intenso; ha una passione per la teoria e l’analisi e il pensiero indipendente.
Emotivo – Prova emozioni e crea legami profondi e intensi, prova una vasta gamma di emozioni complesse; ha una forte memoria per i sentimenti e le emozioni, una grande preoccupazione per gli altri, un senso acuto del bene, del male, dell’ingiustizia e dell’ipocrisia, dell’empatia, e della responsabilità; è altamente attratto dall’introspezione; ha una forte tendenza a provare senso di colpa, ansia, solitudine, depressione e le espressioni somatiche delle emozioni.
Immaginativo – Ha un’elevata capacità di visualizzazione dettagliata, i sogni vividi, la passione per la fantasia, la creatività, le invenzioni, una passione per la musica e l’arte, un senso particolare dell’umore, una preferenza per quello che è insolito e unico, ed una paura dell’ignoto.
Sensuale – Prova un’esperienza sensoriale più intensa in risposta agli stimoli visuali, uditivi, olfattivi, gustativi o tattili.  Una tendenza per l’apprezzamento della bellezza, il bisogno del desiderio o conforto.  Esprime le sue emozioni attraverso i sensi (i.e. mangia troppo).
Psicomotrice – Mostra un’espressione fisica delle emozioni.  E’ dotato di un surplus d’energia, che si riflette ad esempio in attività fisica intensa, spirito di competizione, parlata rapida, irrequietezza, abitudine indotta dal nervosissimo e tic, impulsività. Mostra una preferenza per azioni rapide.

Dabrowski credeva che un’intensa d’esperienza in queste aree di sovraeccitazione (in particolare quelle immaginativa, emotiva ed intellettuale) è alla base di un processo del auto-realizzazione. Questi intensi “modi di essere” solitamente fanno nascere l’introspezione.  Secondo la logica di Dabrowski:

Senza l’introspezione, c’è ridotto conflitto interiore;

Senza conflitto interiore, non si percepisce un bisogno o un’energia catalizzatrice per maturare;

L’intensa esperienza fa sorgere l’introspezione, la quale crea il conflitto interiore;

Il conflitto interiore può suscitare una risoluzione su un livello superiore (Secondo Dabrowski, questo era lo scopo del conflitto interiore)

Siamo spinto di crescere interiormente grazie ad una “tensione verticale” – una disarmonia fra quello che siamo adesso e quello che vorremmo essere, secondo i nostri propri ideali.  La distinzione: “secondo i nostri propri ideali” è capitale nella teoria di Dabrowski; la sua idea dell’auto-realizzazione non si riferiva ad un senso di sé in accordo con le norme sociali o culturali, o secondo qualsiasi autorità esterna. Invece si riferiva ad un senso di sé in accordo con il nostro proprio ideale scelto con consapevolezza.

Entra quindi in gioco l’aspetto “multi-livello” della teoria di Dabrowski:

Nel suo linguaggio, il processo dello sviluppo di sé comincia su un livello piatto (non-verticale).  Ad esempio, come i bambini, non proviamo dei conflitti consapevoli riguardo alla vita come la conosciamo né su chi siamo; le regole della vita sono più o meno chiare e le accettiamo senza pensarci tanto.

Poi, per alcuni, un evento o un pensiero – una tragedia, un’ingiustizia, o una confusione interiore riguardo alle regole della vita – fa nascere un dubbio o una curiosità.  Le domande che poniamo su queste sensazioni e questi pensieri servono ad indurre l’introspezione.  Spesso è difficile per le persone iperdotate immaginare o credere, ma in realtà ci sono delle persone che non sembrano mai arrivare a questo punto d’interrogazione interiore.  E’ possibile che queste persone siano le più buone del mondo, o le più cattive o in qualunque punto tra questi opposti; ad ogni modo vivono più o meno in un livello di accettazione della vita “come è” senza conflitto o domanda.

Tra quelli che rispondono a questa “chiamata” verso l’introspezione, tanti sviluppano un conflitto orizzontale tra quello che loro sono in realtà e quello che loro credono che dovrebbero essere secondo le aspettative sociali o culturali.  Tante persone iperdotate si trovano bloccate in questo conflitto orizzontale durante un periodo significativo (o dei periodi significativi) delle loro vite; qui, la tensione interiore si svolge solo in rapporto alle aspettative esterne.  Nel libro sull’iperdotazione, Living with Intensity, autori Susan Daniels e Michael Piechowski offrono un esempio pertinente: lo scrittore J.D. Salinger era una persona altamente iperdotata che è stato, secondo loro, bloccato in questo conflitto orizzontale.  Sempre nella ricerca di una soluzione esteriore alla sua disarmonia interiore, Salinger ha provato tante religioni, sistemi di credenze, diete estreme e digiuni, e cosi via.  “Dato che si sentono inferiori, queste persone cercano l’approvazione degli altri,” spiegano Daniels e Piechowski.  “Vacillano tra l’egocentrismo e la preoccupazione nei confronti con delle opinioni degli altri, quindi la loro concezione di sé giace sulle sabbie mobili” (p. 23). E’ solo quando vanno al di là del conflitto orizzontale che comincia veramente il percorso verso l’auto-realizzazione.

Daniels e Piechowski paragonano questo “viaggio multi-livello” verso l’auto-realizzazione allo scalare una montagna: ci sono delle persone che non considerano mai la possibilità di scalarla; sono consapevole che la montagna esiste?  Altre persone, come J.D. Salinger, sembrano sapere che la montagna è là, e sono in movimento, ma continuano a camminare attorno alla base della montagna, e non cominciano mai la salita.  Poi ci sono quelli che stanno già scalando…

Quelli che riescono ad oltrepassare la tensione orizzontale alla base della montagna sono quelli che sono svegliati da un altro tipo di conflitto – il conflitto verticale: una consapevolezza interiore di quello che siamo adesso (mentre siamo alla base o sui livelli bassi della montagna) ed una consapevolezza interiore di quello che vorremmo essere secondo la nostra visione più alta di noi (quando saremo arrivati alla cima).  Questa è la tensione verticale che, secondo Dabrowski, è il catalizzatore dell’auto-realizzazione.

L’idea principale della “Disintegrazione Positiva”, come ha chiamato la sua teoria, è che quando cerchiamo di risolvere le differenze tra il nostro sé “basso” e il nostro sé “alto”, il nostro sé basso subisce questa “disintegrazione” o decostruzione in modo da progressivamente ricostruirsi nel nostro sé ideale.  Nell’analogia della montagna, è come se lasciassimo andare il peso che ci trattene sia dal cominciare la salita sia dall’andare avanti rispetto a proseguire la salita, e riorganizzassimo quello che rimane in modo di rendere il nostro viaggio di nuovo possibile. 

Questo processo di disintegrazione può essere un processo intensamente disarmonioso, e perciò, può assomigliare molto alla patologia – le persone in questa fase possono attraversare dei periodi di atroce e terribile dubbio, ansia, frustrazione, depressione o disorientamento estremo.  Possono sentirsi impazzire, sentirsi alieni, credere che le loro vite abbiano poco o nessun significato, o che siano profondamente soli, come se fossero gli unici a provare questo dolore indescrivibile – questo particolarmente se sono circondati da persone non interessate nella salita, dato che nessuno sembra capire perché la vita non basta a loro così com’è. 

Dabrowski (insieme ad altri che hanno messo in dubbio le nozioni moderne della patologia del cervello) considerava che questa disintegrazione era molto positiva: la nostra decostruzione ci dà la possibilità di ricostruire quello che siamo, secondo la nostra visione più alta di noi.  Una volta che ci rendiamo conto di quello che portiamo con noi, abbiamo la possibilità di lasciare andare quello che non ci serve più e riorganizzare e ricostruire la nostra vita (il che prende un tempo, uno sforzo e un sostegno considerevoli) secondo la nostra espressione più alta, scelta con consapevolezza.  Questa è “la cima della montagna,” secondo l’analogia. 

Oltre questo livello si trovano i maestri, quelli che hanno raggiunto uno stato di auto-realizzazione, che adesso guidano gli altri sul camino.  Immagino che siano le guide che, dopo esser diventati esperte del camino, continuano a scalare la montagna per guidare quelli che fanno il loro primo viaggio verso la cima.

Storicamente, nella nostra cultura, c’è stata una mancanza di comprensione riguardo alla disintegrazione dei nostri sé e riguardo al bisogno interiore delle persone iperdotate di compiere il processo.  Per quelli che si trovano nella fase di tensione verticale, “la montagna” sta sempre davanti agli occhi, sempre nel cuore, chiamandoli ed aspettandoli.  Lo scopo del mio lavoro è sostenere sia quelli che sono pronti a cominciare la salita, sia quelli che lottano per andare avanti sul cammino.  Grazie a Dabrowski, Susan Daniels, Michael Piechowski, e tante altre voci autorevoli nel campo dell’iperdotazione, il mio lavoro e il viaggio per tutti noi diventa più reale, collaborativo e gioioso. 

Quest’articolo è stato tradotto dall’autore, con l’aiuto di Roberta Zarantonello

Qui si trova il libro di Susan Daniels e Michael Piechowski:

Living with Intensity: Understanding the Sensitivity, Excitability, and Emotional Development of Gifted Children, Adolescents, and Adults

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